Femminicidio




Scendemmo nel nono cerchio utilizzando un ascensore piuttosto angusto che ci portò al piano terra di quella che sembrava una ricostruzione ancora più terribile della prigione di Alcatraz. La mia guida mi disse che dove ci trovavamo erano rinchiusi coloro che in vita avevano fatto violenza sulle donne e si erano macchiati di femminicidio. Vidi ben presto che ognuno dei peccatori era destinato a rimanere serrato in queste celle insonorizzate, fredde e buie, completamente nudo, proprio perché nella vita non era riuscito ad apprezzare la compagnia di una donna e per questo ora era condannato alla solitudine eterna.

Ci avvicinammo a una di queste celle e aprimmo la finestrella sulla porta per provare a parlare con un dannato. Quando costui si avvicinò alla fessura, indietreggiammo di un passo nel vedere che aveva il volto deforme. “Che cosa hai fatto di tanto malvagio da essere ridotto così male?” gli chiesi, e lui subito mi rispose: “Quando ancora ero in vita amavo una ragazza molto bella, ma un giorno scoprii che mi tradiva. Io non tollerai ciò e, spinto da una rabbia immensa, decisi che, se non avessi potuto avere tutta per me quella bellezza, nessun altro al mondo avrebbe potuto, così le gettai sul volto dell’acido rovinandole il viso per punizione. Ora mi ritrovo qui tutto solo, ripagato con la stessa pena”. E detto ciò ritornò nell’oscurità del suo buco.

Dopo aver camminato a lungo nei corridoi di quell’immensa prigione, raggiungemmo finalmente l’uscita dove trovammo un autobus ad aspettarci.


G. Malanca, 3 Classico

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