Gli ignoranti
Dopo ore e ore di vagare nella più
completa desolazione, nel silenzio desertico di quel luogo sperduto in cui
aveva avuto l’ardire di addentrarmi, mosso sì dall’estrema importanza della mia
missione, in modo da non risultare insulso agli occhi della mia guida, ma anche
perché non risultassi insulso agli occhi di questo, la cui fermezza d’animo e
rettitudine si potevan intuire alla prima occhiata, ecco dunque che giungemmo,
all’imbrunire di quella volta cocente, presso ciò che parevan esser i resti di
una città, rovine di tempi remoti, ma soprattutto, di antichi dannati.
Questi, ormai dimenticati da tempo
immemore, avevan perso ogni traccia di speranza, quella fiamma che nel suo
ardere continuo ed immutabile preservava in loro la coscienza, coscienza di sé,
del loro passato, della loro vita mortale, smarrendosi dunque nell’oblio della
perdizione eterna, nel sempiterno abisso del loro supplizio, come affondando
radici di risentimento e disperazione nella sabbia cinerea che ci circondava.
Nel loro smarrirsi, inoltre, quegli antichi dannati avevano mutato forma, in
un’agghiacciante metamorfosi che li aveva privati della loro anima, lasciando
null’altro che gusci vuoti, statue gelide, i volti solcati dal tristo rimorso
di vite passate e da lagrime carminie, occhi d’amarezza.
Ora, fra queste statue sedevano per
terra, immobili, uomini e donne, vecchi ed infanti; essi avevano gli occhi
stravolti e ondeggiavano tutto il corpo di continuo, come in preda ad un
attacco.
Avvicinandomimi accorsi poi di qualcosa che mi fece sobbalzare dal disgusto e dal terrore; su tutta la superficie dei loro corpi, camminavan fitte file di insetti, lunghi ed affusolati, e caratterizzati da grosse, potenti mandibole e sottili antenne.
Ciò che mi sconvolse più di ogni altra cosa però, fu ciò che questi facean a li poveri dannati; con le loro possenti mascelle, questi piccoli esseri strappavano loro le carni e laceravano i corpi inermi, introducendosi poi nell’incavo scavato, dove mettevan radici, fino a che non venivano ricoperti da un leggero strato di pelle grigiastra, che magicamente spuntava dal nulla.
Ancora scioccato, mi rivolsi alla
mia guida, che al contrario di quanto s’immaginerebbe, era rimasta impassibile,
ferma nella sua smorfia di risolutezza, con le braccia incrociate al petto e lo
sguardo fisso su di me, a rimproverarmi la mollezza d’animo che quasi mi avrebbe potuto mettere in ginocchio, per via di quella scena raccapricciante; mi spiegò dunque che quelli che i’ vedeva non erano altro che ottusi ignoranti.
Questi, avendo nella di lor vita mortale sempre rifiutato categoricamente, con la fermezza e la determinazione tipica dell’ottuso, di acquisire, di integrare quelle nozioni atte alla conoscenza delle proprie origini, del proprio presente e del rispettivo futuro, ora, nell’aldilà, si trovavano costretti a subire l’introduzione forzata nel proprio corpo (e quindi automaticamente nel proprio spirito), di miliardi di quei disgustosi piccoli mostriciattoli zampettanti ogni secondo, i quali non erano altro che piccoli frammenti del sapere, antico e nuovo, aggregatisi nella forma di viscidi insetti.
Dettomi ciò, tuttavia, il maestro
decise che fosse giusto riprendere il nostro viaggio, e così, ancora colpito e
sofferente per la sorte di questi poveri uomini e di queste povere donne,
raccolsi il mio fardello, e mi incamminai per le dune cineree, in quel mare di
desolazione che parea interminabile.
K. Tosini 3CS
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