La solitudine dei social
Entrai
nella città e subito notai che vi era qualcosa che non andava. Vidi una folla
di persone camminare guardandosi i piedi, col collo chinato in giù mentre
osservavano qualcosa che veniva stretto talmente forte che all’inizio pensai
gli desse linfa vitale. Erano tutti così concentrati, nessuno sembrava curarsi
di cosa e chi aveva intorno, quello che stringevano tra le mani era talmente
potente da staccarli totalmente dalla realtà. Solo alcuni sembravano immuni da
questa strana calamita a me estranea; fermai uno di loro e chiesi di che cosa
si trattasse. Era un uomo quasi anziano, sulla sessantina, e quando gli feci
quella domanda mi guardò strabuzzando gli occhi, come se avesse visto un alieno
ma iniziò lo stesso a spiegarmi:, scriverò di seguito una parte di quello che
mi disse : “Questa è la generazione Z, la generazione social, e sono tutti
presi dai loro telefoni, dalle loro vite virtuali che non riescono più a vedere
il mondo reale; se chiedi loro qualcosa sanno risponderti solo tramite
messaggio o delle emoji, cioè delle faccine che simboleggiano gli stati
d’animo”. Rimasi scioccata da quello che mi era stato detto, non riuscivo a
capacitarmi di come un oggetto potesse influenzare così tanto il modo di vivere
dei giovani, che potessero essere così attaccati a un qualcosa che a me
sembrava così futile e che non ci fosse più dialogo, che non si parlassero più
perchè si inviavano messaggi. Quando ebbi appreso tutte le funzioni del
telefono, non riuscivo comunque a capacitarmi di come un qualcosa che era stato
fatto appositamente per tenere in comunicazione e quindi vicine, anche se non
fisicamente, le persone, avesse avuto praticamente l’effetto contrario. Non
riuscivo a capire come fosse più importante comunicare tramite social network
che toccarsi, che vivere la vita reale, che sentirsi vicini fisicamente , che
potersi abbracciare, e ancora di più non realizzavo come chi non facesse parte
di questa generazione non si rendesse conto che avessero bisogno di aiuto, che
non era normale quello che stava succedendo. Ma quella società era
fondamentalmente piena di questo, di morti viventi che camminavano senza meta
davanti ad un telefono, di indifferenza e di egoismo. Ognuno pensava a sé
stesso, ai suoi obbiettivi, alla sua vita, senza curarsi dell’intorno e degli
altri, erano tutti troppo occupati a vedere solo la loro vita per poter
sbirciare un minimo in quella degli altri. Provai pena per loro, per la
loro vita sprecata e buttata via dietro a qualcosa che non avrebbe dato loro il
pane per vivere. Ancora non mi capacito di come siamo arrivati a questo.
A. Cammia 3 Classico
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