Vittimismo
Era ormai da tempo che continuavamo a costeggiare un’immensa altura, dall’alto di essa si scorgeva un impressionante bagliore, una luce divina avrei osato pensare, se non che il percorso su cui tanto ci stavamo affaticando ne affermava il contrario; nemmeno delle sterpaglie vi era l’ombra, le gemme dei pochi arbusti si putrefacevano e al suolo, come anime deliranti, stramazzavano ormai marce.
Non che la mia coscienza in quel momento si fosse dissolta o che il mio buon senso fosse divenuto come gli inermi grovigli di rami lungo la ripida via, che non mi si fraintenda! Ma i miei occhi, così come tutto il mio corpo si volgevano unicamente verso quell’accecante punta, desiderosi di scorgerne almeno un fascio luminoso, non badando al resto. Avrei ben volutamente chiesto riguardo a quella luce alla mia onesta guida, ma la fatica dovuta dal viaggio mi aveva ormai completamente prosciugata. Arrivammo comunque alla cima dell’altura e dopo aver ripreso le forze, prontamente chiesi il perché di quel luogo così divino in un marciume tale dove nessuno avrebbe mai pensato di poter ammirare un incanto tale come quella cima.
“Mi dispiace aver dovuto pazientare per così tanto.” Mi rispose la mia guida, che tanto onesta e acuta era quanto sbocacciuta e molte volte assai pettegola, che ero rimasta colpita del suo lungo silenzio durante tutto il viaggio. “Spero ti piacciano i fiori, qui c’è ne sono a bizzeffe, per non parlare delle immense pinete che ricoprono tutta l’altura, così come le api, le farfalle e qualsiasi altro insetto primaverile. Gioisci finché puoi perché ricolma di vita questa dimora incantata!”. Sebbene continuassimo a camminare, la mia guida non mi aveva ancora risposto, l’unica cosa di cui ero desiderosa sapere era il perché di un luogo simile nell’oltretomba, ma questa non sembrava neanche darmi ascolto e più che annusare qualche ginestra o rododendro non faceva. Proseguimmo non molto a lungo, finché non sentimmo dei gemiti così forti che parevano il pianto di un neonato. “Pazienta ancora, non avere fretta!” mi sussurrò lentamente la mia guida e io mi arrestai bruscamente. Il pianto non durò molto che un viso ingiallito spuntò fuori da un cespuglio, fissandoci, si trascinò ai nostri piedi e ricominciò la sua cantilena. Da lì a poco ne scorsi a milioni in quella distesa fiorita, chi forte si lamentava da solo, chi pronunciava sciagure verso il cielo e chi ammutolito rancava verso i più bui spazi di quella dimora. “Vedi il motivo per cui non ho voluto appagare la tua curiosità era perché ci trovavamo in uno dei peggiori cerchi dell’inferno, quello dei vittimisti, per non rovinarti il viaggio non ti ho detto niente, dato che so quanto tu detesti questa gente.” Mi rispose prontamente la mia guida prima che potessi formulare qualsiasi pensiero. “Non siamo in Paradiso, se forse è questo a cui pensavi, ma nel luogo in cui costoro devono scontare la loro pena. Questi come tu ben saprai, si affaccendando per trovare le più contorte cause per spiegare i loro mali fittizi. C’è chi si punge con le spine delle rose, come questo dannato che insistentemente continua la sua cantilena, chi cade a causa della propria sbadataggine, chi addossa le cause del proprio dolore al cielo e chi trova più conveniente incolpare le api. Ognuno piange instancabilmente e raramente smettono se non per cercare nei visitatori conforto per questi loro stucchevoli mali. Difatti tra di loro non si possono vedere, ognuno è invisibile agli occhi dell’altro, tanto che qui tutti pensano di essere soli!”.
Intanto il pianto del peccatore si era fatto più forte e in modo contorto mi fissava negli occhi, belbettando tra molti singhiozzi la causa del suo dolore. “Mi punse una spina” riuscii soltanto a capire e avvinghiandosi sempre più stretto alla mia caviglia mi riversava copiose lacrime. “Credo tu abbia ormai capito il perché di un luogo così rigoglioso. Poveracci sono costoro che davanti ad una incantevole opera della natura si struggono dolorosamente a causa dei loro vani motivi. La loro pena è quella di piangere eternamente, non potendo trovare il conforto che tanto cercarono in vita e additare le cause dei propri mali alla natura verso la quale non ebbero fiducia e paradossalmente quest’ultima non asseconda il loro pianto con un orrido paesaggio, ma scaraventa contro questi tutta la sua bellezza”. Alla fine non potemmo più proseguire, più mi addentravo verso quell’oasi paradisiaca più il pianto accresceva e più mi si avvinghiavano attorno uomini e donne di tutte le età. Non potemmo fare altro che scendere dall’altura e proseguire lungo il ripido cammino che avevamo precedentemente percorso, allontanandoci sempre di più.
L. Sartori 3CLA
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